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La Vergine e il sale filosofico degli alchimisti

Aggiornamento: 12 mar




Uno dei simboli più potenti che costellano l’idea di anima nell’immaginario cristiano è quello della Vergine. Nel simbolismo mariano la Vergine Maria è la Ianua Coeli, la porta misteriosa che, per opera dello Spirito Santo, può trasfigurare la terra che vincola l’uomo al mondo e alla morte e introdurlo al cospetto di Dio.

Questo ruolo di Mediatrice tra uomo e Dio viene svolto dalla Vergine in uno spazio puro e incorrotto, celato nel profondo dell’anima e che dell’anima costituisce l’aspetto più vitale. Ogni uomo nasconde nel cuore, secondo questa concezione, un calice che ha il potere di ricevere in sé una “sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna” (Gv 4, 14) e che rende fertile quella parte di Terra Vergine che portiamo in noi.



Maria è anche porta del Cielo perché collega Cielo e terra in senso inverso: è attraverso di lei che il Verbo si fa carne, divenendo attivo e percepibile nel regno delle cose visibili.


In un suo studio sul simbolismo della quaternità, Carl Gustav Jung prende in considerazione le polarità (Spirito Santo, Padre, Figlio e Maria) e considera Maria come polarità femminile della SS. Trinità a causa del suo rapporto con lo Spirito Santo, che la rende il vaso puro che può generare l’essere che realizza in sé le due nature: l’umana e la divina. Jung rileva che alla rappre­sentazione di Dio trino corrisponde spesso un Satana Tricefalo, che appare come avversario di Cristo e Signore della Materia e della molteplicità.

Solo l’integrazione delle qualità del principio femminile, rappresentate da Maria, può riunificare e pacificare l’anima umana. Così l’Assumptio Beatae Mariae comporta il passaggio del corpo materiale e mortale, soggetto allo spazio e al tempo, al regno dei Cieli.


Maria incarna la possibilità data all’uomo di reintegrarsi nel principio creatore e trinitario. Negare o rimuovere questo archetipo in quanto principio attivo in noi, significa rinunciare a quell’amore verso l’alto che unifica e rende elevata e piena di senso la nostra esperienza terrena.

Nel linguaggio della psicoanalisi junghiana l’uomo, rimuovendo il principio femminile salvifico e sapienziale legato a Maria, condanna se stesso a doverlo vivere attraverso la propria Ombra.


L’archetipo mariano opera attraverso l’amore, secondo la via del cuore.

La Vergine Maria, il calice destinato ad accogliere il Cristo sulla terra, è stata accostata al santo Graal, il calice con cui Giuseppe di Arimatea raccolse il sangue e l’acqua che sgorgavano dal costato di Gesù crocefisso. Secondo la leggenda il Graal fu intagliato all’inizio dei tempi in uno smeraldo caduto dalla fronte di Lucifero, quando questi si ribellò a Dio (lo stesso calice era denominato da Wolfram Von Eschembach lapsit exillis, cioè pietra esiliata, da exilium, o caduta dai cieli, da ex coelis, stesso nome dato alla loro Pietra dagli alchimisti). Il Graal rappresenta, nell’uomo, lo spazio sacro del cuore, destinato ad accogliere il Verbo, il calice invisibile che custodisce il senso interiore della tradizione cristiana. Nel mondo esterno rappresenta la Chiesa in quanto custode nel mondo della stessa tradizione.

Narrava ancora la leggenda che la coppa del Graal scomparve dalla terra e che i cavalieri della Tavola Rotonda si proposero come mèta suprema di ritrovarla. Questo pellegrinaggio verso la Terra Santa, questo vagare nel labirinto del mondo alla ricerca del Centro e della Parola Perduta è destinato al fallimento se il viaggio non diventa anche un cammino interiore.


Anche gli alchimisti parlavano di una terra Vergine, resa feconda da un seme spirituale e destinata a partorire la loro Pietra, una terra vergine che spesso essi identificavano con il Sale della Sapienza.

Il culto della Vergine fu considerato dagli alchimisti come una allegoria del loro Magistero e le cattedrali gotiche francesi, veri templi eretti all’arte alchemica, sono quasi tutte consacrate a Notre Dame, cioè a Maria.


Come esempio di linguaggio “alchemico” nel culto mariano ricordiamo l’epistola che viene letta alla messa dell’Immacolata Concezione: “Il signore mi ha posseduta all’inizio delle sue vie. Io ero prima che egli plasmasse qualsiasi altra creatura. Io ero nell’eternità prima che venisse creata la terra. Gli abissi non erano ancora e io ero già concepita. Le sorgenti non erano ancora uscite dalla terra; la pesante massa delle montagne non era ancora stata formata; io ero già nata prima delle colline. Egli non aveva ancora creato né la terra, né i fiumi, né consolidato la terra mediante i due poli. Quando egli preparava i Cieli io ero presente; quando circoscrisse gli abissi con i loro limiti e stabilì una legge inviolabile; quando stabilizzò l’aria attorno alla terra; quando equilibrò l’acqua delle sorgenti; quando rinchiuse il mare nei suoi limiti e quando impose una legge alle acque perché non superassero i confini loro assegnati; quando gettò le fondamenta della terra, io ero con lui e regolavo tutte le cose”.

(Si osservi la straordinaria somiglianza con l’inno a Iside citato da Apuleio nell’Asino d’oro).




Il culto di una dea vergine che partorisce un bambino è comunque antecedente alla nascita del cristianesimo. Da Semele, la madre di Dioniso, ad Iside, sono numerosi gli esempi delle Vergini madri.

La teologia di Maria, Vergine Madre, riprende le antichissime concezioni asiatiche e mediterranee della partenogenesi delle grandi dee (Hera, Cibele). La teologia mariana rappresenta la trasfigurazione dell’omaggio al mistero religioso della femminilità: la Vergine Maria verrà identificata, nel cristianesimo occidentale, con la figura della Sapienza divina, mentre la chiesa di Oriente svilupperà accanto alla teologia della Teokotos, la Madre di Dio, la dottrina della sapienza celeste. Sophia, nella quale si manifesta la figura femminile dello Spirito Santo.



L’arte sacra dei primi cristiani, che rappresenta la Vergine con il bambino Gesù tra le braccia, sembra aver tratto ispirazione dal culto di Iside che culla il piccolo Horus (la cui nascita veniva celebrata la notte del 24 dicembre, data anche della nascita di Mitra, il sol invictus dei misteri ritraici di origine persiana, che nasceva in una grotta da una pietra.)

Anche il culto delle Madonne nere si è innestato su un preesistente culto isiaco, mantenendo talvolta invariati anche gli oggetti di culto (immagini e statue della dea reinterpretate come raffigurazioni della Madonna).

Anche Vesta o Hestia (dal sanscrito Was, abitazione) era una dea vergine della terra a cui erano sacri sia il focolare domestico che il fuoco sacro della città, l’estinguersi del quale era ritenuto un segno inequivocabile dell’avvicinarsi di una calamità.


In vari testi alchemici, la Vergine viene citata come terra interiore, pura ed incontaminata, che deve essere fecondata dal seme spirituale che l’alchimista riesce a far giungere fino a lei, o come vera Madre del Filius Philosophorum, e viene identificata con il Sale alchemico o con la terra che lo contiene.

Siamo di fronte alla terza sostanza arcana, il Sale, che gli alchimisti giudicavano indispensabile per la produzione della Pietra accanto allo Zolfo ed al Mercurio, associato tanto alle facoltà intellettive che alla proprietà di conservare e rendere incorruttibili le vivande alle quali veniva mescolato. Molti autori credono che nel Sale siano fusi sia lo Zolfo che il Mercurio, tanto che alcuni lo chiamano Rebis, “la cosa doppia”, un appellativo che, peraltro, veniva riferito talvolta allo Zolfo, talvolta al Mercurio.

Il testo ermetico “Tractatus aureus” così ammonisce l’alchimista che pretenda di portare a termine il suo Magistero senza servirsi del Sale: “Colui che opera senza Sale non ridesterà i corpi morti, colui che opera senza Sale tende un arco senza corda. Perché voi in effetti dovete sapere che i saggi hanno bisogno di un Sale assai diverso da questi minerali volgari”.


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